1. Ingresso.
Mettiti alla presenza del Signore.
Cerca la calma.
Fa’ un lento segno di croce.
Chiedi allo Spirito la pace interiore, la libertà di cuore e la capacità di accogliere i suoi doni.
2. Leggere e gustare
Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». (Lc 6,20-26)
Leggi il brano con grande attenzione cercando di comprendere «che cosa dice».
Presta ascolto a quali parole o versetti ti suscitano reazioni interiori significative e soffermati gustandone il sapore, buono o cattivo che sia.
Se ti sono d’aiuto, utilizza gli spunti seguenti per meglio comprendere il testo.
Note per la comprensione del brano.
Inizia con questo brano il «Discorso della pianura», il primo ampio intervento di Gesù nel Vangelo di Luca, dopo la serie di insegnamenti frammentati che fin qui ha proposto.
Diversamente dalle beatitudini di Matteo, Luca gioca il suo testo su binomi a cui associa l’esperienza di gioia-lamento («Beati… Guai…») chiamando in causa alcune categorie sociali o situazioni di vita.
Il primo è il binomio poveri-ricchi. Luca non lascia dubbi sul genere di povertà cui si riferisce: si tratta dell’indigenza materiale vera e propria. Il tema della ricchezza è particolarmente caro a Luca, appartenente a una classe sociale elevata e dunque fortemente interpellata dal messaggio. I poveri sono detti eredi del Regno, senza mezzi termini, dunque i possidenti dovranno farsi simili a loro, non cercando più consolazione nei beni.
Come può essere beato un povero, viene lecitamente da chiedersi. Non c’è qui alcun elogio alla miseria, tutt’altro, essa non è affatto un ideale. La ragione della beatitudine è piuttosto la possibilità di sperimentare il Regno, la paternità buona di Dio che ristabilirà ogni giustizia.
Al ricco è riservato un ouaí («ahimè! ahi!») che è un vero e proprio grido di dolore più che una minaccia, come la dichiarazione del fatto che far consistere la consolazione e la felicità nel possesso dei beni è una sventura, più che una fortuna.
Il secondo binomio confronta gli affamati coi sazi. La sazietà ha valenza sia positiva che negativa in ambito biblico: segno della benedizione di Dio ma anche indice di una soddisfazione egoista e colpevole. Anche stavolta, la felicità non corrisponde all’esperienza della fame in quanto tale, ma alla prospettiva dell’intervento saziante divino.
Lo stesso vale per il terzo binomio che chiama in causa l’esperienza del lutto e della consolazione. Sullo sfondo c’è la vicenda anticotestamentaria dell’esilio, con il Dio che libera e consola. Quindi a tema c’è la gioia connessa all’esperienza di essere salvati da Dio.
Per l’ultima accoppiata, Gesù riprende la tradizione dei profeti perseguitati e dei falsi profeti, accostati ai diversi trattamenti loro riservati. Qui il riferimento non è generico ma esplicito nell’indicare i cristiani perseguitati. Anche stavolta la ragione della gioia sta in ciò che Dio opererà, con una particolare accentuazione escatologica che si distende anche sulle altre tre beatitudini: il compimento della promessa inizia nel presente ma sarà perfetto nel futuro atteso.
Nelle quattro beatitudini di Luca vediamo riproposto lo stesso annuncio del Magnificat, un annuncio che sa di liberazione, consolazione e gioia per via del radicale ribaltamento, da parte di Dio, dell’ordine costituito. Il presente non è senza speranza per i deboli e i sofferenti. Costoro hanno Dio vicino. Non per merito, non per disposizione interiore, non per giustizia – come la mentalità del giudeo riteneva dovesse essere – ma per volontà sua, che predilige chi è ferito rispetto a chi pensa di non aver bisogno di cure.
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3. Ascoltare e Confidare
Interroga il testo cercando di coglierne il messaggio essenziale (cosa rivela di Dio, dell’uomo, del mondo, dei valori fondamentali?).
Colto il messaggio, applicalo alla tua vita. Che cosa ti dice il testo?
Dialoga con il Signore confidandogli quel che ti è sorto nel cuore.
Se ti sono d’aiuto, utilizza gli spunti seguenti per meditare il brano.
Spunti per la riflessione sul testo.
Il «Beati» di Gesù è un annuncio, ma anche una confidenza. È la gioia che lui stesso prova nel vedere consolati i poveri, i sofferenti, gli affamati e i perseguitati.
Lo è anche il «Guai!» con cui apre il cuore ferito dal dispiacere per chi insegue una illusoria beatitudine nella ricchezza, nella sazietà, nella vanagloria.
Gesù gioisce e si dispera. E così compartecipa radicalmente all’esistenza degli uni e degli altri. Lì c’è il suo essere pienamente se stesso, il principio della sua realizzazione come uomo e come Figlio di Dio: la comunione piena, dedita, riconciliata con ogni uomo, santo o peccatore, amico o nemico.
Esultare per la beatitudine di alcuni, esporsi perché possano diventare beati anche gli altri. In quello c’è, potremmo osare dire, la sua beatitudine. Nel far felici c’è la sua felicità. Felice nel felicitare.
E mi sono venute in mente, guardando così Gesù oggi, queste parole di Marco Balzano e del suo libro Le parole sono importanti, Einaudi:
L’aggettivo felix ha la stessa radice di fecundus ed è un termine riferito alla capacità di generare.
Felix è un aggettivo legato alla fertilità: il suo contrario è l’impossibilità di procreare. La radice di felicitas e del suo aggettivo va ricercato in fela, la mammella, da cui il verbo felo che vuol dire appunto succhiare il seno. Insomma felicitas è una parola seminale che evoca la creazione e il nutrimento. È la pienezza fertile che, appagata della sua condizione, gode di rendere felice la creatura.
Felix, infatti, è colui che è felice, ma anche colui che rende felice, con un uso transitivo che conferma questa tensione a un altro, verso cui si avverte una forte responsabilità. Se dovessimo scegliere una sola immagine per restituire il senso etimologico dovremo certamente pretendere quella di una donna che allatta.
Questa tensione altruistica fa rimbalzare fino a noi la domanda se una felicità ripiegata sul benessere individuale sia effettivamente felicità. Se invece si può chiamare così solo ciò che, in senso letterale e metaforico, dà la vita, allora l’eco del significato originario ci permette forse di ritrovare slancio per lasciare più spazio alla felicità intesa come cura e come essere per l’altro, non l’appagamento di una pulsione ma piuttosto quello della gratificazione della gratuità.
Vangelo anche questo, a suo modo.