Chi cerca di seguire il Vangelo, è chiamato ad essere promessa di vita nelle relazioni, nelle situazioni, nei contesti esistenziali.
Come una presenza che lotta perché la vita dell’altro sia piena, senza temere di mettere in gioco qualcosa della propria.
1. Ingresso.
Mettiti alla presenza del Signore.
Cerca la calma.
Fa’ un lento segno di croce.
Chiedi allo Spirito la pace interiore, la libertà di cuore e la capacità di accogliere i suoi doni.
2. Leggere e gustare
Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». (Gv 14, 1-6)
Leggi il brano con grande attenzione cercando di comprendere «che cosa dice».
Presta ascolto a quali parole o versetti ti suscitano reazioni interiori significative e soffermati gustandone il sapore, buono o cattivo che sia.
Se ti sono d’aiuto, utilizza gli spunti seguenti per meglio comprendere il testo.
Note per la comprensione del brano.
L’annuncio della propria partenza fatto da Gesù nel contesto dell’ultima cena ha profondamente scosso i discepoli.
Lo sconforto provato, però, può essere vinto dalla fiducia. Devono affidarsi al Padre continuando ad affidarsi al Figlio, trasformando la loro fede vacillante in qualcosa di compiuto.
Le parole di incoraggiamento rivolte ai discepoli sono comprensibili all’interno di una concezione del mondo come composto da due ambiti (nel testo chiamate «dimore»): quello terreno e quello divino.
Gesù annuncia che lascerà questo mondo ma la sua dipartita è un’ottima notizia, perché è il preludio al suo ritorno (da intendersi come quello definitivo, alla “fine dei tempi”).
Questa seconda venuta corrisponderà al passaggio dei discepoli («vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi») nella piena e perfetta comunione con Dio (la «casa del Padre»), dove saranno liberati dalla precarietà e dalla insicurezza terrene.
La morte di Gesù, dunque, non chiude l’esperienza dell’essere suoi discepoli, anzi, apre lo spazio a un nuovo tratto di percorso in cui vivere un rapporto eterno e indistruttibile con la sua persona. Ciò che intendiamo come “salvezza”.
La domanda di Tommaso ha la funzione retorica di spingere per un approfondimento del discorso, che infatti avviene, regalandoci alcune delle espressioni più tipiche, profonde e complesse del Vangelo di Giovanni.
Nel momento in cui Gesù si separa dai suoi, non indica una «via» da percorrere e su cui continuare a seguirlo, lui stesso «diventa la Via».
La metafora allude al tema del senso dell’esistenza e Giovanni la utilizza per affermare che la questione del significato fondamentale della vita si risolve solo nella persona di Cristo e nel rapporto con lui.
Egli è colui che possiede il senso delle cose poiché in lui c’è «verità», che nel linguaggio di Giovanni rappresenta la realtà divina.
Gesù è presenza di Dio e, proprio per questo, è anche l’unico capace di introdurre nella «vita piena».
Non c’è modo di accedere al Padre se non per mezzo di lui.
Non c’è possibilità di pienezza di vita se non con lui.
Non c’è strada per comprendere il senso delle cose se non in lui.
3. Ascoltare e Confidare
Interroga il testo cercando di coglierne il messaggio essenziale (cosa rivela di Dio, dell’uomo, del mondo, dei valori fondamentali?).
Colto il messaggio, applicalo alla tua vita. Che cosa ti dice il testo?
Dialoga con il Signore confidandogli quel che ti è sorto nel cuore.
Se ti sono d’aiuto, utilizza gli spunti seguenti per meditare il brano.
Spunti per la riflessione sul testo.
Tra le tante crisi di cui siamo testimoni in questo nostro tempo forse dovremmo aggiungere la crisi della «promessa».
Anziché essere sinonimo di garanzia e di sicurezza stanno assumendo pian piano il senso contrario. Una «promessa» sembra ormai essere ciò che, con buona probabilità, non si realizzerà.
“Promesse elettorali” è praticamente diventato sinonimo di qualcosa che non verrà mai attuato.
Promettere un pagamento fa correre un brivido lungo la schiena del creditore che già sa come finirà.
Promettere un’assunzione è l’escamotage diffuso per estorcere stage e tirocini gratuiti.
La promessa di un amore eterno più che una sicurezza viene quasi presa come una minaccia.
Mi chiedo se il senso di precarietà che sperimentiamo sempre più insistentemente in questo tempo non abbia a che fare con la crisi della promessa.
Perché promettere è proiettare nel futuro, prolungare la vita al di là dell’immediato presente, stabilire la solidità del terreno per il prossimo passo.
Forse tutto ciò accade perché ogni promessa richiede di com-promettersi. Ogni parola data, in fondo, è un pezzo della propria libertà offerta all’altro, un frammento di vita dato a garanzia dell’altro. Ci vuole coraggio.
Forse quel senso di precarietà non è l’assenza di “qualcosa di solido” su cui poggiare la vita, ma la mancanza di “qualcuno” che si com-prometta per la nostra vita.
Bello che Gesù, mentre invita alla fede i discepoli, accompagni l’incoraggiamento con una promessa: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi».
Questo è il com-promettersi: lui per loro, ma soprattutto lui con loro. La sicurezza del futuro per i discepoli non è tanto il posto garantito, ma Gesù garante, il suo volere per loro la vita piena, la gioia eterna.
Chi cerca di seguire il Vangelo, è chiamato ad accogliere questa promessa, cercando anzitutto di essere “promettente” nelle relazioni, nelle situazioni, nei contesti esistenziali. Come una presenza che lotta perché la vita dell’altro sia piena, senza temere di mettere in gioco qualcosa della propria.
A immagine e somiglianza Sua.