Il vangelo di Marco si chiude con un finale aperto: le donne di ritorno dal sepolcro vuoto non dissero niente a nessuno.
Il loro silenzio non è un fallimento.
È invece l’allusione a una storia che comunque prosegue, oltre un apparente sconfitta.
Il Vangelo non è un invito a restare nell’insuccesso ma ad avere il coraggio di continuare a seguire il Risorto che ci chiama ad andare sempre un passo oltre.
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungere il corpo di Gesù. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite. (Marco 16, 1-8)
Tracce di lectio.
L’intenzione delle donne che vanno al sepolcro per rendere omaggio al corpo di Gesù ha davanti a sé un ostacolo insormontabile che desta in loro ovvie preoccupazioni: «Chi farà rotolare la pietra?».
La sorpresa e lo spavento non sono suscitate dall’osservare la tomba misteriosamente già aperta, ma dall’incontro inaspettato con un giovane. Non si dice si tratti di un angelo e, restando nel contesto di Marco, è più significativo e opportuno collegarlo al giovane di Mc 14, 51-52: «Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo».
Prima nudo – come Gesù in Croce – poi vestito di bianco alla resurrezione, sarebbe il simbolo del discepolo modello, il credente battezzato che viene trasformato dalla partecipazione alla morte e resurrezione di Cristo.
È lui il responsabile dell’annuncio della resurrezione. L’abito bianco dice di una vita trasfigurata e la posizione alla destra ne indica il rilievo suggerendo simbolicamente un legame stretto con il Risorto.
Egli parla di Gesù come del Crocifisso. Usa una forma verbale che indica il permanere degli effetti della Croce. Come già aveva anticipato Gesù dopo la sua Trasfigurazione, emerge ora chiaramente la qualità della sua gloria: è la signoria del Crocefisso. Chi annuncerà il Risorto non dovrà né potrà mai prescindere dal mistero della Croce, pena il tradimento della vera identità di Cristo.
Le donne non trovano un corpo, ma una ”parola di vita”: «È risorto, non è qui». Gesù è assente e la sua presenza viva è da credere/vedere in relazione a una parola detta, non a una presenza evidente.
Gesù è altrove e precede i discepoli in Galilea. È il luogo degli inizi della sequela, dove il Regno è stato annunciato, dove è stata vissuta la compagnia con il Maestro. L’essere presente e vivo del Risorto si concretizza perciò nel proseguire la Sequela. Il cammino continua, i discepoli ancora devono “andargli dietro”.
Se, tornati in Galilea, faranno propri gli insegnamenti del Maestro vivendoli in modo radicale, faranno l’esperienza della sua presenza gloriosa, come Pietro, Giacomo e Giovanni nel giorno della Trasfigurazione.
Il testo originario si conclude con la fuga delle donne spaventate e il loro silenzio (i versetti da Mc 16, 9 in avanti sono un’aggiunta posteriore). Finale sorprendente per il suo carattere fallimentare.
Il Vangelo di Marco è però costellato di insuccessi dell’insegnamento di Gesù seguiti da rinnovati inviti rivolti ai discepoli, a dire che il fallimento non è mai definitivo. La chiusura dell’evangelista è quasi ironica: «Ma pensate davvero che finisca così?». Così, anche qui, ci si aspetta che la storia continui, ma come?
Nei finali sospesi è sempre presente la chiamata in causa diretta del lettore che viene invitato a mettersi in gioco in prima persona, costruendo il seguito in modo coerente a ciò che ha ascoltato.
La domanda più importante dunque non è «Cosa succede ora ai protagonisti del racconto?», bensì «Cosa succede alla vita del lettore dopo aver ascoltato il messaggio?». A chi legge e ascolta è dunque chiesto di impegnarsi prendendo posizione.
L’assenza del racconto di apparizione prepara il lettore al fatto che, se sceglierà di fare propri gli insegnamenti del Vangelo, il suo tempo da discepolo non sarà segnato dalla presenza evidente di Gesù Risorto, ma andrà vissuto come scelta quotidiana di seguirLo nel suo misterioso precedere, alla luce della sua promessa di vita.
E non dissero niente a nessuno.
Il silenzio delle donne è una straordinaria porta aperta. Il “poi” è solo suggerito, è lasciato intendere, si vede come in trasparenza. La storia ha un seguito, comunque. L’ha avuto certo per le tre donne, per i discepoli, per le comunità che sono sorte dopo di loro.
Il Risorto che precede è la possibilità di andare avanti, è il gradino già scavato su cui poter poggiare il piede, il tratto di sentiero tracciato in cui prolungare il passo.
Il seguito della storia, dopo il silenzio delle donne, è stato ancora e sempre un succedersi di fallimenti e ripartenze, di errori e ripensamenti, di cadute e balzi in piedi. Nel fallire e rialzarsi rinnovati non c’è un “difetto di fabbrica” al quale porre limite e rimedio. È anzi la normale via con cui la nostra storia si intreccia con la presenza del Dio che sempre dà e ridà la vita.
Ho letto un commento i giorni scorsi che diceva come il Risorto lo si incontra soprattutto nelle lacrime, nel dolore, nelle sofferenze, nei fallimenti.
Non credo. Quella è la fede nel Cristo che è rimasto solo il Crocifisso. Il Risorto è il passo oltre il fallimento, il sollievo che segue il dolore, la serenità che stempera il pianto. Porta i segni della Croce ma cammina più in là del Calvario.
Il Vangelo non è l’invito a stare nella sconfitta o a macerare nelle sofferenze, ma l’annuncio che c’è un oltre da raggiungere, che promettente attende al di là di esse.
Così è la Misericordia di Dio. Precede i nostri passi aprendo il cammino con una possibilità sempre rinnovata. Così si crede e si pratica la misericordia sugli altri e su noi stessi.
Il silenzio delle tre donne è l’invito ad affrontare la nostra vita – ma anche a guardare quella altrui – e tutte le sue tappe, belle o brutte, felici o drammatiche, come un finale aperto, cui si ha comunque la possibilità di dare un seguito. Anzi, che si è chiamati a costruire in prima persona, in piena responsabilità, in autentica originalità.
SeguirLo, oltre, è incontrarLo.